ltimamente ho trascorso molto
tempo nelle biblioteche delle Gilde, per una ricerca che ha coinvolto me e il nobile Araglar. Spesso quando
si cerca qualcosa di preciso si trovano un'infinità di cose interessanti che si vorrebbe avere il
tempo di osservare con più attenzione. Tra queste c'era una pergamena vergata in Quenya con lettere
elegantissime. Distrattamente me la infilai nella sacca per osservare meglio quella scrittura così
elegante, e lì la dimenticai per parecchio tempo. Fino a che qualche giorno fa scivolò
davanti a me, quasi invitandomi ad aprirla. Sinceramente mi aspettavo qualcosa come una lettera di
ringraziamento di qualche principe, e invece mi ritrovai a leggere una storia terribile e piena di
spirito di sacrificio, che mi ha fatto piangere per la sua infinita malinconia. L'ho tradotta in
Lingua Corrente perché tutti possano conoscerla.
Io non so se Lukannon sia ancora in queste contrade, ma lo spero, perché mai ho potuto conoscere
un animo così nobile e così coraggioso, e vi prego: se qualcuno di voi dovesse incontrarlo,
fategli sapere che Elsewin ha letto la sua storia.
Io sono un assassino e un ladro. Così almeno verrò considerato nella terra di Silmaril,
perché in questo luogo dove sono finito da solo poco tempo non può conoscere le vere
motivazioni di questo mio modo di agire. Credo che sia comunque mio dovere tentare di spiegare la mia
vera natura.
Io sono un Tiramarth, Guardiano della Sorte, o meglio lo ero prima del mio fallimento. Ma partiamo dal
principio: quella a cui appartengo è la Confraternita dei Tiramarth, un ordine che si dice sia
stato fondato da Ulmo, il Signore delle Acque in persona. Aiutati dai più grandi maghi e indovini
noi teniamo sotto controllo gli avvenimenti delle Terre Conosciute. Vi faccio un esempio: se viene
predetto l'avvicinarsi di una guerra che porterò lo sfacelo in un grande regno, noi con interventi
mirati facciamo in modo che l'entità del disastro sia minore, o che non avvenga affatto.
Di solito questi interventi consistono nell'eliminare i soggetti che porterebbero un normale avvenimento
(guerra, migrazione, conquista) in qualcosa di dannoso per le Terre. Lo stesso obiettivo si può
raggiungere anche rubando alcuni particolari oggetti, il perché è difficile da spiegare.
Non è possibile capire dall'esterno la suprema nobiltà di questo Ordine e la sua totale
dedizione al suo Compito.
Gli appartenenti, che rimangono segreti al resto del mondo, vengono scelti tra quegli individui la cui
mancanza non venga sentita dalla comunità di origine: orfani, abbandonati, negletti.
La mia storia comincia con l'arrivo nella mia città di un Tiramarth. Naturalmente io non sapevo
ancora che fosse tale. Allora i miei genitori mi avevano abbandonato sulla strada e io girovagavo
guadagnandomi da vivere con piccoli furti di cibo dalle botteghe dei mercanti. Questo Elfo mi prese con
sé e cominciai il mio duro addestramento.
Il mio primo ricordo del luogo segreto in cui mi portarono è anche il ricordo della cerimonia
di assegnazione del nome. Per entrare nel cuore della Confraternita si passa sotto un grande portale
con un serpente intagliato sopra. Durante il mio silenzioso tragitto per arrivare lì il mio
accompagnatore mi aveva parlato del grande cancello che si trasforma in un serpente velenoso se qualche
estraneo cerca di entrare. Così quando ci avvicinammo istintivamente mi ritrassi e pronunciai
le mie prime parole:
- Lok Annon? - Il Cancello dei Serpenti? Ma il mio accento aveva un poco deformato le parole, credo,
così il Tiramarth intese Lukannon e pensò che fosse il mio nome. Io un nome non lo
avevo e volentieri accettai quello. Così divenni Osservato, quindi Apprendista, Tirocinante e
infine Tiramarth.
Le mie capacità magiche non erano neanche sufficienti a farmi diventare un mago, figuriamoci
un Veggente, così venni destinato all'azione pratica di uccidere, rapire, rubare. Lo scopo mi
faceva sorvolare sui mezzi a volte cruenti che ero costretto ad usare.
La mia ultima missione, quella che mi ha portato qui, era di uccidere una Maga, che avrebbe causato
l'annientamento dei Teleri sulle coste Ovest della Terra di Mezzo. Non volevo sapere altro su questa
persona, mi dissero che si chiamava Seredhel, Elfa Sanguinaria. Il mio Maestro era preoccupato, me ne
accorsi subito, ma io mi sentivo tranquillo perché avevo molte missioni alle spalle. Sapevo
che uccidere i maghi è difficile, che bisogna colpirli alle spalle e renderli innocui in
fretta, ero preparato.
Partii dal luogo della Confratenita, con lo sguardo salutai il Lok Annon e mi avviai. Avevo con me
la mia spada, conquistata duellando contro un Uomo per impedirgli di raggiungere la sua amata (il
figlio di quella notte sarebbe stato un pericolosissimo adepto della Nera Signora). Avevo dovuto
ucciderlo ma mi era dispiaciuto, prima di seppellirlo avevo preso la sua spada. Era lunga più
di un metro e venti, sottilissima e scintillante, leggera come solo le spade di mithril possono
esserlo. Inizialmente, per spirito di onestà, l'avevo offerta al mio Maestro, ma lui aveva
detto che solo un Alto Elfo, tale io sono, poteva maneggiare con facilità una spada così
lunga.
Ero a cavallo, una bestia selvaggia e veloce come il vento di notte. Arrivai nella Valle Blu, dove
aveva dimora la mia vittima, la malefica Seredhel, dopo quasi una luna di viaggio. Mi avevano messo
in guardia dai suoi poteri. Aspettai il buio, sperando tra me che questa Elfa Scura non avesse tra
le sue arti quella della premonizione, altrimenti per me sarebbe stata dura.
Prima di attaccare mi liberai del mantello e raccolsi i capelli in una lunga coda, quindi pregai
Ilùvatar, Manwe e Ulmo perché assistessero la mia missione. Silenzioso come una foglia
che cade sul muschio mi avvicinai alla casa e attesi che le candele si fossero tutte spente. Il
favore della notte era con me. Entrai.
Improvvisamente davanti a me sfavillò una luce violacea e vidi la mia vittima in piedi
davanti a me. Con un ruggito di rabbia mi gettai su di lei con la spada alzata, ma la mancai. Mi
girai un istante e fu come se l'avessi vista per la prima volta. Era bellissima, con lunghi
capelli neri e grandi occhi azzurri che le illuminavano i lineamenti delicati. Avevo atteso un
istante di troppo, il mio colpo partì in ritardo e la mancai di nuovo.
Esiste un detto tra i Tiramarth: puoi mancare un Nano tre volte, puoi mancare un Uomo due volte,
puoi mancare un Elfo e un Serpente una volta, ma non puoi mancare mai un Mago senza avere danni.
La magia ammaliante di Seredhel mi aveva colpito, e lei ne approfittò per congelarmi
in una campana di cristallo. La mia mente era libera, così come i miei occhi. Potei
così osservare l'Elfa che preparava le sue magie e tesseva la trama della sua vendetta
contro i Teleri, colpevoli, credo, di averle ucciso il padre.
Dopo quello che a me parve un periodo di molte lune arrivò un secondo Tiramarth per
uccidere la maga. La battaglia fu terribile, il mio Confratello era un Mago molto potente
e la magia si poteva avvertire attraverso l'aria. I vortici viola e blu si scontravano in
forme fantastiche e mortali, ne ero quasi affascinato. Seredhel cominciò a cedere, perdendo
sangue da molte bruciature, ma per lungo tempo la battaglia continuò fino a che il Mago
lanciò un incantesimo di privazione, lasciando lei vuota di poteri. Mi liberò e
senza parlarmi condusse sia me che lei alla Confraternita. Sapevo il mio destino: un
Tiramarth non può sbagliare.
Seredhel venne privata in modo definitivo dei suoi poteri ed esiliata nelle Isole, io rimasi
chiuso nella mia stanza per molti giorni, a meditare. Una mattina, finalmente, il Gran Maestro
mi mandò a chiamare, e dentro di me sentii che la morte era vicina.
Invece non morii. Se anche un Guardiano della Sorte non può sbagliare, il suo errore
non è una colpa. Non può rimanere nelle Terre Conosciute, perché conosce
troppe cose, ma ucciderlo sarebbe ingiusto. Di questo mi parlò in una lunga notte il
Gran Maestro. All'alba mi avrebbero mandato nella Stanza Verde, dove la mia sorte mi sarebbe
venuta incontro.
Era questa una stanza dalle pareti di smeraldo, sempre chiusa, dove coloro che avevano fallito
o che si erano macchiati di gravi colpe venivano mandati. Lì dentro la Giustizia di
Manwe regnava, ma nessuno era mai tornato indietro a raccontare cosa vi succedeva. Eravamo
tutti convinti che la morte aspettasse chi varcava quella soglia, nella Confraternita.
Entrai senza un brivido, in solitudine, perché per l'Ordine io ero morto durante la
Missione, così era la regola.
La luce verde mi colpì gli occhi, violenta e accogliente. Sentii una voce leggera e
modulata che mi sussurrava "Addio..." e mi ritrovai qui nel Silmaril, nelle vesti di un
comune ladro.
Da quello che ho potuto capire qui non c'è nulla che assomigli alla Confraternita, e
sinceramente non so se questo sia un bene o un male. Ma qui ci sono gli Antichi che vegliano
sulla vostra (e mia, ormai) sicurezza e stabilità.
Non mi sento ancora pronto a giudicare l'Operato dei Guardiani della Sorte, e vorrei che
nessuno di voi lo facesse. Io sono stato uno di loro e conosco l'ebbrezza del potere che
il fare parte di un Progetto del genere produce, ma la Confraternita è sempre stata
cara ai Valar e con il loro aiuto le Terre Conosciute continueranno a vivere.